lunedì 11 giugno 2012

Il peggior pregio dei portoghesi

Il miglior pregio dei portoghesi è il loro più grande difetto. Dopo il cosiddetto "aiuto" finanziario e la messa sotto tutela del paese, il Portogallo è, come al solito, scomparso dalle cronache. Non c'è da stupirsi: un paese piccolo, poco popolato e marginale è abituato a stare lontano dai riflettori. La Grecia, però, ha grosso modo la stessa popolazione del Portogallo, dimensioni analoghe e, in un certo senso, è ancora più marginale. Ed è sempre in prima pagina. Tra le molte ragioni che spiegano questa differenza, una, in particolare, vale la pena di essere sottolineata. Dopo i giorni da psicodramma della caduta del governo Sócrates e della campagna elettorale, in Portogallo non è successo, semplicemente, nulla. Non che le cose non siano peggiorate. Sono peggiorate come e più che altrove. I salari sono stati tagliati, lo stato sociale è stato tagliato, l'iva è stata aumentata, le tasse sono cresciute. I portoghesi se la passano male proprio come se la passano male i greci. Solo che lo fanno in silenzio.
Per un italiano in gita a Lisbona può essere stupefacente passare davanti alla sede del parlamento e a quella del governo, che si trovano nello stesso complesso di edifici. Quel che colpisce, a prima vista, è il completo disinteresse da cui sono circondate: niente assembramenti di giornalisti, questuanti, comici, manifestanti... niente di niente. Una decina di poliziotti cercano di passare il tempo, e intorno accade poco o nulla. Le cose non sono cambiate con la crisi: c'è stata qualche manifestazione, partecipata ma senza scontri, un tentativo di "occupy São Bento" con un paio di tende, conclusosi alla prima pioggia, slogan di protesta, e tutto è finito in fretta. Agli occhi di un italiano, la notizia sparata in prima pagina degli "scontri" dello Chiado (quartiere chic della capitale) suscita un moto di tenerezza: una fotografa incespica, un poliziotto la manca con il manganello. Per il resto, si soffre in silenzio, dopo una tornata elettorale, ordinata ma non particolarmente sentita, che ha assegnato alla destra parlamentare un chiaro e inequivocabile mandato. Tanta rassegnazione ha meravigliato, di recente, il New York Times.
Il fatto è che a questo clima i portoghesi ci sono abituati, essendo usciti solo nel 1974 da una quarantennale dittatura fascista che aveva fatto dell'austerità la propria cifra. Austerità in tutti i sensi: politica, morale e, naturalmente, economica. Già, perché molti sanno che il Portogallo vanta la curiosa singolarità di un colpo di stato militare in piena regola che abbatte una dittatura di destra e instaura una democrazia (almeno inizialmente) di sinistra, ma quel che forse si sa meno è che quella stessa dittatura di destra non era stata messa in piedi da un generale, o da un avventuriero. Al contrario: il padre dell'Estado Novo, António de Oliveira Salazar, era un professore universitario, un austero (manco a dirlo) economista, ligio al dovere, frequentatore della messa domenicale, discreto, di poche parole, per nulla propenso al culto della personalità e alle fanfaronate retoriche di un Franco o di un Mussolini, ma grande predicatore della parsimonia, della sobrietà, della "modestia". Un tecnico, insomma. Un tecnico chiamato a mettere ordine nelle disastrose casse di un paese periclitante, che passava da un tentativo rivoluzionario a un tentativo di golpe a un altro tentativo rivoluzionario. Il risultato fu rigore, ossessione per i conti in ordine e un quarantennio di sospensione dei diritti e della democrazia. I portoghesi, che già erano un popolo alquanto pacato, con forti venature di fatalismo pessimista e di atavismo immobilista, ovviamente ne risentirono.
Non è detto che, peggiorando ulteriormente le cose, il clima si conservi. Per il momento, non si sono neppure raggiunti i seppur contenuti sussulti irlandesi, e siamo ben lontani dal clima surriscaldato della Spagna e dell'Italia, per non parlare della guerra civile strisciante che si è vista in Grecia. Né sono previsti exploit di partiti outsider, radicali o estremisti. Per la sinistra (uscita malridotta dalle ultime elezioni), la rassegnazione dei portoghesi è un frutto avvelenato del salazarismo: il segno di una mancanza di partecipazione, della fragilità della società civile, di una insana rassegnazione. Per la destra di governo, ansiosa di confermarsi come il "miglior alunno" del rigorismo teutonico, è il sintomo di una straordinaria coesione sociale e di una saggia capacità di sopportazione. Nessuno può dire, oggi, se tanta pacatezza sia un vantaggio o un limite del Paese. Forse è sia l'una che l'altra cosa. Perché il peggior difetto dei portoghesi è anche il loro più grande pregio.

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