venerdì 2 ottobre 2015

Storia di Dante Vacchi: il fotografo italiano che fondò i Comandos portoghesi

Il 2 ottobre di sessant’anni fa usciva il primo numero dell’Espresso. Le celebrazioni sono in corso già da qualche tempo. Ne fa parte una mostra nelle sale del Vittoriano che celebra l’anniversario con una carellata di fotografie e copertine della storica rivista. Fra queste, la copertina scandalosa (e che fece effettivamente scandalo) e disturbante del 19 gennaio 1975 che introduceva un’inchiesta dal titolo “Aborto: Una tragedia italiana” e che marcò la campagna a favore della legalizzazione dell’aborto. L’immagine è quella di una donna incinta e crocifissa. L’articolo a firma di Enrico Arosio che presenta la mostra la descrive così:
 «In croce come Gesù, e però femmina, incinta e nuda. Drammatica, con quella luce livida, e insieme dolce. La chioma nera che scende sul petto pallido, la morbida curva del ventre teso dalla gravidanza, le braccia snelle, l’ombra scura del pube». 
Il fotografo che la realizzò, sempre secondo l’articolo di Enrico Arosio, era «Dante Vacchi, un satanasso che aveva seguito la guerra d’Algeria per “Paris-Match”». Il “satanasso” – che per la verità durante la Seconda guerra mondiale portava il nome di battaglia di “Ombra” – non era un fotografo qualsiasi. In Italia, il suo nome è quasi del tutto dimenticato. In Portogallo, circola ancora negli ambienti dei reduci della guerra coloniale ed è forse noto a qualche storico o tra gli appassionati di fotografia. Nel 1961, giungendo (forse) dall’Algeria e accreditandosi come fotografo di Paris Match, Dante Vacchi fondò, con l’aiuto di un pugno di militari portoghesi, i Comandos, cioè le truppe di élite che furono in prima linea, fino al 1974, sui tre fronti della guerra coloniale portoghese.

martedì 3 marzo 2015

Ancora Battisti

Il caso Battisti si è ormai trasformato in una sequela di non notizie che periodicamente riaffiorano dal Brasile, rimbalzano in Italia e qui vengono reinterpretate - male - a uso e consumo di politica interna. È così fin dai tempi della mancata estradizione dalla Francia e della fuga in Brasile. E sarà sempre così, probabilmente, finché la vicenda giudiziaria dell'ex PAC verrà sbandierata dall'uno o dall'altro fronte. Questa volta, Giorgia Meloni ci ha fatto sapere che aspetta l'ex terrorista "a braccia aperte", Daniela Santanchè (che cercò ai tempi di darsi un po' di visibilità col caso) ha annunciato un'inesistente estradizione, e, sul fronte opposto, l'account su Twitter del collettivo Wu Ming ha linkato, stancamente, un vecchio articolo di Carmilla online che riassume, pro domo Battisti, l'intero caso. Niente di nuovo dal fronte interno, dunque. Niente di nuovo neppure dal Brasile, del resto.

giovedì 24 aprile 2014

Un colpo di Stato rivoluzionario


Il quarantesimo anniversario del 25 aprile cade in un periodo particolarmente delicato per il Portogallo. In attesa di “uscire” dal programma della troika, il paese soffre il peso della lunga stagione dell'austerity e le tensioni sociali aumentano sensibilmente. Non mancano perciò richiami polemici alla “rivoluzione dei garofani”, vista non solo come data di inizio della democratizzazione del paese e del suo sviluppo civile e sociale, ma anche come l'ultima occasione in cui il popolo “è sceso in strada” e, in qualche modo, si è “ripreso” il paese. E davvero il popolo scese in strada, quella mattina di quarant'anni fa a Lisbona: lo si può vedere nelle molte foto che circolano in questi giorni (alcune, bellissime, provengono dal libro di Alfredo Cunha e Adelino Gomes, Os rapazes dos tanques). Sono foto spiazzanti, come spiazzanti dovettero essere gli avvenimenti: le strade piene di soldati, e dietro ai soldati una folla immensa di civili, le cui espressioni variano dalla curiosità all'euforia. Meno di un anno dopo il colpo di stato in Cile (e a meno di due da quello argentino), mentre nell'Europa meridionale agonizzavano il franchismo e il regime dei colonnelli, un golpe militare rovesciava una dittatura fascista (guidata da un civile) e prometteva di instaurare la democrazia nel Paese.

domenica 5 gennaio 2014

Eusébio, Salazar e il tropicalismo lusitano


 Il 1961 fu un anno nero per Salazar. Fu l'anno dei primi attacchi dei ribelli in Angola e dell'annessione, quasi senza colpo ferire, di Goa da parte dell'India di Nehru. Fu, in un certo senso, il primo anno della “orgogliosa solitudine” del regime portoghese: l'anno in cui apparve evidente a tutti che alla lunga sarebbe stato impossibile evitare la perdita delle colonie.
Il 25 ottobre di quell'anno, più o meno due mesi prima dell'invasione di Goa, la nazionale portoghese andò a perdere per due reti a zero in casa degli inglesi, in una partita valevole per la qualificazione al campionato mondiale. Sul campo di Wembley, si fece notare soprattutto un giovane da poco arrivato a Lisbona da Lourenço Marques (l'attuale Maputo, capitale del Mozambico), dov'era nato neppure vent'anni prima. Eusébio da Silva Ferreira, o, più semplicemente, Eusébio, sarebbe diventato, di lì a poco, la “pantera nera”, ribattezzato per sempre dal giornalista inglese Desmond Hackett, che sul “Daily Express” raccontò la storica finale di Amsterdam tra il Benfica e il Real Madrid. Quel 25 ottobre del '61 a Wembley, però, Eusebio era ancora la giovane promessa di una nazionale che rappresentava, al meglio, quella nazione “pluricontinentale” che proprio in quei mesi iniziava la sua lenta disgregazione. Degli undici giocatori, soltanto l'algarvio Cavém era nato in Portogallo. Tutti gli altri, a parte l'azzoriano Mário Lino e il brasiliano Lúcio, provenivano dalle colonie africane. Lo stesso selezionatore, Fernando Peyroteo, era nato in Angola.

domenica 17 novembre 2013

Il rifugiato - 2 (la vendetta?)


Alla fine, il Supremo Tribunale Federale del Brasile ha deciso, a maggioranza, che i condannati nel più grande processo per corruzione che il paese ricordi – il cosiddetto mensalão – devono andare in prigione subito, senza attendere gli ulteriori sviluppi del giudizio. I principali responsabili del sistema di tangenti – tra i quali buona parte della vecchia dirigenza del partito di Lula – si sono così consegnati alla giustizia, o sono stati arrestati. Tutti, tranne uno. Henrique Pizzolato, ex direttore del marketing del Banco do Brasil, condannato a 12 anni e sette mesi e titolare, anche, di un passaporto italiano, sarebbe fuggito nel nostro paese, probabilmente passando dal Paraguay.
In una lettera lasciata al suo avvocato, Pizzolato motiva la sua decisione con l'intento di non sottomettersi a un giudizio che definisce “di eccezione”, e di ottenere dalla giustizia italiana un nuovo giudizio, non sottoposto a pressioni mediatiche. Il prossimo passo dovrebbe essere, probabilmente, una formale richiesta di estradizione da parte del ministero della giustizia brasiliano, resa in questo caso più difficoltosa dalla doppia cittadinanza di Pizzolato (che quindi, a differenza di Battisti, è anche cittadino italiano).
Inutile sottolineare i parallelismi con il caso di Cesare Battisti, arrestato in Brasile e del quale l'Italia chiese l'estradizione. Estradizione poi negata dal presidente Lula (ma non dalla giustizia brasiliana), che interpretò il caso Battisti come un caso di giustizia politica. Per un'ulteriore ironia della storia, colui che allora difese Battisti difronte al Supremo Tribunal sostenendo la tesi della condanna politica dell'ex membro dei PAC, l'avvocato Luís Roberto Barroso, siede adesso dall'altra parte della tribuna, tra i giudici dello stesso Supremo Tribunal che ha decretato l'arresto di Pizzolato. Scritta la sceneggiatura dell'attivista politico di sinistra che ottiene asilo da Lula, resta ora da scrivere quella, a parti invertite, dell'accusato di corruzione che chiede asilo in Italia.

giovedì 11 aprile 2013

Tribunal Constitucional vs. Governo - 2° round


Palácio Ratton
Per la seconda volta, dall'inizio della crisi economica, la corte costituzionale portoghese ha cassato, con sentenza pubblicata venerdì scorso (5 aprile), una parte rilevante della legge finanziaria, mettendo così in serio pericolo il raggiungimento, da parte del governo, degli impegni presi con la “troika” dei creditori (Commissione Europea, BCE e FMI). Come già l'anno scorso, il Tribunal Constitucional ha dichiarato incostituzionali il taglio dei cosiddetti “subsídios de férias”, ovvero la trediciesima e quattordicesima mensilità, degli impiegati statali e dei pensionati. Ed esattamente come l'anno scorso, le due misure sono state dichiarate incostituzionali in base al principio di eguaglianza (ovvero, in poche parole, perché limitate ai soli impiegati statali, e non a tutti i lavoratori). Sono stati poi dichiarati inconstituzionali il contributo per le prestazioni sanitarie e i sussidi di disoccupazione, sulla base del principio di progressività, e alcune norme relative ai contratti di ricerca e docenza. In questi ultimi due casi, tuttavia, la decisione avrà un impatto limitato sui conti pubblici.